venerdì 20 settembre 2013

Due apnee



Mi sono ritrovata a piangere, ma proprio a singhiozzi, come quando ero piccola, impaurita e smarrita. Di cosa, di cosa? Trauma post-laurea lo chiamano. Di vero c'è che questo trauma ce l'ho a 29 anni suonati e ora mi sembra di aver perso troppo tempo, e l'ho perso dandomi degli alibi, lavori su lavori, tutti umilissimi, tutti che non hanno a che fare una ceppa con i miei sogni. Ed ho sbagliato. Questa è la verità. L'alibi era quello di aiutare la mia famiglia ad alleggerire il peso della mia università. La verità è che a me di studiare e basta non mi andava proprio. Ed ora mi sento già fuori dai giochi, ancora prima di cominciare e non so nemmeno da dove cominciare. Mi sentivo una bambina e poi un adolescente e poi una ragazza e donna speciale, sui generis, con grandi sogni, passioni e capacità. Ora mi sento zero. Z E R O. Come i punti della mia tesi sudata e bistrattata per un litigio con la mia relatrice. Come si fa a riprendere in mano i propri sogni? Sogni di cui mi nutrivo, sogni e passioni grazie ai quali mi sentivo diversa e quanto meno non mediocre. La realtà me li ha tolti, e senza di essi mi sento schiacciata a mangiare la polvere e a sentire il puzzo dell'asfalto, e la nausea trasale ogni volta che torno a casa dopo il lavoro da cameriera. Il fatto è che mi sento fottuta, come una tontolona, mi sono fatta fottere dall'idea del non fermarsi e del "tirare a campare che è meglio ". E non mi fermo più a sognare, non mi fermo a pensare a cosa e chi voglio essere. Devo farlo, devo ricominciare a farlo. Ho da chi prendere esempio, da chi ha il coraggio di puntare tutto sulla sua passione, non perdendola mai di vista, anche a costo di schiaffoni da parte della nuda e cruda concretezza, che non capisce, proprio non vuole accettare chi vive con la testa tra le nuvole. 

A dire il vero, che ci han fottuti tutti lo sapevo bene già da un po'. La nostra generazione, puah. Io non me ne sentivo parte e a quanto pare nessuno impazzisce dalla voglia di identificarsi in un bacino di prede così grande, ma questo siamo. L'università è una calda culla che ti tiene nella bambagia per un bel po' ogni tanto ti da qualche schiaffone da cresimante giusto per farti assaggiare come è fatto il mondo. Ma fondamentalmente sia chi è dentro, sia chi è fuori ha il cervello in pappa, pieno di stronzate, come il lactobacillus, vita snella e  il caffè con l'aspartame.  Per non parlare degli anarco-vegan, dei fascio-comunisti, o dei cattolici-miconsenta: seghe mentali su chi deve mangiare, quanto deve mangiare e soprattutto come e cosa mangiare. Che mi ci metto anche io in mezzo, non pensate che mi escluda: ora bevo caffè amaro per darmi un tono, che sia nero, che più nero non si può, ma non mi piace la miscela araba, la miscela la preferisco latina. E lo yogurt, lui lo prendo solo da bere. Sono stata anche vegetariana per riempirmi di sensi di colpa e poi mi ho smesso perché dovevo alleggerire il peso delle colpe sulla mia spalla e come se non fosse abbastanza ho iniziato a scrivere.  Poesie. Che mi viene da ridere. No, scherzo alcune sono anche belle, solo che fondamentalmente anche loro parlano di tutti i macigni non digeriti che ho in gola, dai più piccoli ai più grandi. E non smetterò di scrivere, anche con la sola mente, credo mai. Mi serve e vorrei che qualcuno mi leggesse e sentisse come se fossero urla di risa, di rabbia o di pianto. Devo fare un po' di rumore in qualche modo e questo è l'unico modo che conosco, l'unico modo che voglio imparare sempre di più a conoscere.